|
|
Colonna sonora |
|
Regia di Massimo Piesco
Con
Lavinia Biagi,
Jessica Bonanni,
Annalisa Cordone,
Francesco Gargamelli,
Gerardo Mastrodomenico,
Elena Paris,
Cristina Pellegrino,
Emanuela Scipioni
Musiche di Davide Liuni
Teatro COMETA-OFF
Dal 30 marzo al 9 aprile 2006
|
photos by courtesy of Roberto Miconi |
|
|
|
|
|
Note compositive |
L'Italia che viene raccontata, che si lascia informare da Emilio Fede, che confonde Melissa P. con Margherite Duras e che onora i Santi coi film della LuxVide e che fa 22 ore di fila per vedere i piedi del Papa morto e che in cabina elettorale, è triste e meschina, sia pure dal punto di vista delle casalinghe di Voghera oppure di Casalpusterlengo.
Eppure, anche se la lente si focalizza sui colori acri usando l'acidità ed il rancido del quotidiano a smascherare l'ipocrisia, anche se ciò è dato, è comunque la tristezza ad aver fatto maturare la musica di scena dello spettacolo.
D'accordo con l'autore e regista, si è scelto di proporre un percorso attraverso varie rivisitazioni dell'inno nazionale italiano "Fratelli d'Italia" (Novaro - Mameli), anche se stavolta sarebbe stato piu opportuno chiamarlo "Sorelle d'Italia".
Quindi, iniziando come un normale uso della musica "a sipario" tra un corto teatrale ed il successivo (sempre dunque collocata nell'azione e nel cliché delle situazioni proposte, come in una Sit-Com) lentamente e progressivamente comincia ad emergere sempre piu riconoscibile il materiale musicale dell'inno di Mameli.
Seppur in versione Techno ma in tonalità Do minore o solo pianoforte à la façon tardoromantica, finanche a vederlo disteso come una Berçeuse o in versione Rock, è sempre l'inno italiano: Fratelli d'Italia.
Ma senza il fagotto roboante degli ottoni, l'andamento marziale o la volontà di creare appartenenza con starnazzamenti o effetti di grana grossa, come si fosse ad un evento istituzionale o ad una partita degli "azzurri":
è un piccolo viaggio che parte dall'altoparlante di una radio, come una canzone degli anni 30 e si distende, via via più riconoscibile, fino al finale in cui viene chiaramente articolato, seppur da una chitarra elettrica di Hendrixiana memoria.
E dunque anche cosi, finire tristemente triturato dalla pochezza della meschinità inodore ed insapore.
Tristemente, appunto
|
|
Note dell'Autore-Regista
|
Le frasi più ricorrenti del mio lavoro di scrittore per l’intrattenimento televisivo (questo ho trovato ultimamente) sono: “Abbassa il linguaggio” assieme a “Questa le casalinghe di Casalpusterlengo non la capiscono…”. Ora – afferrato con sconcerto che tutta la produzione culturale italiana ruota attorno a Casalpusterlengo – viene da chiedersi chi siano mai queste casalinghe di Casalpusterlengo che non capiscono un cazzo e, ciò nonostante, tutto si fa per loro…
E quante casalinghe ci saranno mai a Casalpusterlengo? E chi sono queste demolitrici del lessico e dei contenuti? Chi le paga? Perché sono così? Si sono accoppiate tra consanguinei per essere così ritardate (nei piccoli centri capita)… o forse è colpa di ripetitori scassati che consegnano al tubo catodico una battuta sì e dieci no? E mentre mi stavo dando una risposta ecco che cambio produzione e mi sento dire: “Questa non fa ridere le casalinghe di Voghera…”
… VOGHERA !?! Aspetta che vedo… Voghera: provincia di Pavia, abitanti 40.483 detti “vogheresi” Superficie: 63,28 km2. Altitudine: 96 m sm. CAP: 27058 Prefisso telefonico: 0383. Comune: piazza Duomo 1.
Allora quelle di Casalpusterlengo sono ritardate ma devono capire tutto, quelle di Voghera, invece, devono ridere ad ogni costo… e mi chiedo… perché? Che malattia hanno? Sono picchiate dai mariti oppure hanno figli che fanno corse con le macchine, lanciano sassi dal cavalcavia, fanno le messe nere oppure comprano cocaina dai bidelli o posano nudi per calendari per pedofili? Insomma, cosa affligge queste casalinghe di Voghera che ad ogni cambio di canale… “Ah ah ah ah !” devono farsi una risata?
Ma non saranno mica le stesse che si fanno togliere il malocchio da Wanna Marchi? Che francamente, già credere che Wanna Marchi possa togliere la cellulite surclassa il delirio mistico… ma che addirittura possa togliere il malocchio… siamo proprio nella quintessenza dello ZEN: quella per cui anche lo scaldabagno e la caffettiera possono avere un’anima e un’energia.
Poco dopo scopro che Voghera è la capitale morale della trasversalità politica, religiosa e culturale e la scoperta avviene quando mi dicono che i miei testi sono troppo “di sinistra” e quando comincio a riempirli di frasi come “Me ne frego” – “Sposi della vita, amanti della morte” – “Chi non è con noi è contro di noi”… mi dicono che sono troppo di destra… allora li colloco al centro esatto tra Carl Marx e Adam Smith, in area vaticana insomma, con varie evoluzioni del concetto di “Dio c’è” e mi ricordano che in Italia (non specificano ma io so che si tratta di Voghera e Casalpusterlengo) ci sono gli ebrei, gli evangelisti, i buddisti e i mussulmani che, anche se in misura minore, il tonno RIO MARE lo comprano pure loro. Riassumendo, le italiane non amano sentir parlare di politica, sono monoteiste nel senso più ampio del termine (e benché questo si fanno togliere il malocchio da Wanna Marchi) e ridono con le stesse battute che si fanno in seconda media (anche se in seconda media si fa riferimento al sesso e le italiane - ci dice il MOIGE - sono sessuofobiche).
Iniziano così i miei corti teatrali sulle donne, con una sana inquietudine sull’universo femminile italiano contemporaneo, con la volontà di raccontare questo popolo di “sante, eroine, poetesse e trasmigratici…”, con la volontà di vedere chi è che sorregge l’impalcatura di quest’Italia così meschina. E infatti racconto un popolo meschino (prima di tutto perché io sono meschino ed ho una lettura meschina del tutto esperibile) che si lascia informare da Emilio Fede, che confonde Melissa P. con Margherite Duras e che onora i Santi coi film della LuxVide e che fa 22 ore di fila per vedere i piedi del Papa morto e che in cabina elettorale, vabbé lasciamo stare… Avrei potuto chiamare la raccolta “Casalpusterlengo stories”… sì, uso l’inglese perché sono uno sceneggiatore italiano. Pochi lo sanno ma in Italia gli sceneggiatori parlano di concept, di spin-off, di story editor, di product-placement cioè fanno gli scripwriters in una Industry che produce annualmente meno film dell’Uganda… less movies than Uganda… e quindi - siccome sono uno che s’adatta - anch’io voglio improfumare d’americanità quello che scrivo, dunque, l’ho chiamata SICK-COM che sta per “commedia malata”… essenzialmente perché sono malato (ho contratto un virus che si chiama ‘cattiveria’) e perché racconto una società malata. “Rimesto nel torbido” per semplificare, anche perché sono fortemente astigmatico e quindi “il torbido” è alla mia osservazione quotidiana.
|
|
|
|