"Il Servo Ungherese" nasce da una idea che l'autore del soggetto e della sceneggiatura - Massimo Piesco - ha posto alla base della realizzazione registica del film: la musica avrebbe dovuto essere alla base del percorso cinematografico.
Infatti, accanto alla presenza di musica cosiddetta "di scena" (cioè interna alla azione oggettiva dei personaggi, ad es. l'ascolto di dischi di arie d'opera da parte del maggiore Dailermann) sono presenti interpretazioni delle stesse arie (suonate però dall'orchestra dei deportati) che sono state riorchestrate e riscritte inserendo nell'organico strumenti più propriamente reperibili in un ipotetico campo di sterminio (es. chitarra, fisarmonica) e modificate inserendo una timbrica un poco più 'tetra' (ho fatto riferimento a opere coeve, come "La Valse" di Ravel) che lentamente si inserisce all'interno dell'orchestrazione originale per sottolineare ciò che nel fotografico era la soggettiva emozionale dell'azione cinematografica (ritmicamente coesa anche attraverso il montaggio), musica questa che definirei "in scena".
Un altro ulteriore livello di intervento è quello più propriamente "di commento", che esteriorizzi e sottolinei l'arco formale dell'opera cinematografica.
Fino da subito è stato chiaro che la coesistenza di materiali musicali così diversi tra loro poteva generare una frammentazione anzichè un'unità narrativa.
Il problema è stato risolto attraverso l'introduzione di un ulteriore nucleo di materiale musicale completamente disgiunto dagli altri, ma la cui riconoscibiltà immediata (basata su di un piede ritmico ostinatamente ripetuto e sull'uso della voce femminile) poteva in sè contenere e generare tutti gli altri: la musica ebraica di tradizione sefardita.
Dunque si è pensato di comporre ex novo un brano originale ma verosimilmente tradizionale (Sephar) che potesse contenere il materiale armonico e melodico che via via scaturisse e compenetrasse sia la musica "di scena" (con cui condivide i passaggi armonici modali e/o l'uso degli archi in pizzicato), della musica "in scena" (con cui condivide l'ostinato della chitarra e fisarmonica, la risoluzione degli accordi diminuiti) e della musica "di commento" (che, essendo vincolata alla struttura narrativa fa uso di organici strumentali più liberi ma segue un itinerario "di ricucitura" vincolata però alle sequenze di montato cui è sovrapposta sinergicamente).
Fondamentalmente però è la forma dei singoli brani ad essere analoga e basata sulla ripetizione variata tipica della musica etnica (che nei momenti più "colti" del film è stata fatta sfociare in un "tema con variazioni").
D'intesa con il direttore della fotografia e la scenografa e -ovviamente dei registi- alcune sequenze d'importanza fondativa contengono variazioni cromatiche e spaziali (le luci virano al rosso a significare l'irruzione dell'arte, gli ambienti si restringono a significare l'avanzante oppressione, i costumi sbiadiscono..):
tutte queste caratteristiche hanno tracciato e guidato il percorso narrativo del film, e la musica lo ha consolidato (anche per contrapposizione).
A tutto ciò si aggiuga che la connotazione storico-geografica dell'azione cinematografica implicava che i singoli personaggi avessero un vissuto "musicale" ben preciso (Franziszka ascolta canzonette, August arie d'opera e Miklos la musica classica in generale) e dunque alcuni cambiamenti che l'esperienza del lager induce vengono sottolineati dall'accostamento di materiali musicali consoni (es.quando August asserisce la propria sudditanza al dovere, la trama orchestrale iniziata ricalcando con i corni la marcia funebre di Hindemith, vira verso una linea melodica del clarinetto di fattezze tardo romantiche e conclude con la cadenza finale della Salomé di Strauss).
Tutto questo è stato alla base della realizzazione delle partiture, ma grande merito va riconosciuto ai musicisti che hanno saputo ben interpretare il ruolo che questa volta in particolare richiedeva: la consapevolezza della insostanzialità del proprio lavoro accanto alla convinzione della sua necessità.
Ringrazio i registi per avere permesso di misurarmi con un approccio musicale in cui mettere in relazione le singole parti mantenendone la funzionalità immediata fosse un impegno realmente con-positivo..